La dolce poesia di Gozzano in omaggio a Torino

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Tra le tante grandi personalità a cui Torino ed il Piemonte hanno dato i natali c’è sicuramente quella del poeta Guido Gozzano. Nato ad Aglié nel 1883 da una famiglia alto-borghese, il giovane Guido si dedicò presto all’attività poetica, influenzato notevolmente dal suo maestro di letteratura, poeta a sua volta, Arturo Graf.

 

L’influenza di Graf lo allontanò dalla poesia dannunziana, a cui Gozzano si è ispirato nei suoi primi anni, per avvicinarsi ad una poesia più intimista.
 
Il suo nome è spesso associato alla corrente letteraria post-decadente del cosiddetto Crepuscolarismo, il cui interesse primario era quello di concentrarsi sulle piccole cose del quotidiano. Lo sguardo sulla vita dei poeti crepuscolari è caratterizzato da un misto di malinconia ed ironia e si pone come obiettivo la volontà di mettere in crisi le certezze del proprio tempo.

 

Gozzano morì a soli 32 anni di tuberlosi. Il poco tempo che ebbe a disposizione bastò però a regarci splendidi versi, spesso dal tono ironico e distaccato, ma sempre profondi e intensi.

 

Tra le sue tante poesie, vi proponiamo un componimento dedicato alla città di Torino, in cui Gozzano con il suo classico stile, esprime la sua nostalgia ed il suo amore per Torino, pur riconoscendone spesso i limiti.

 

Una poesia che un torinese deve assolutamente conoscere:

 

Torino

 

I.
Quante volte tra i fiori, in terre gaie,
sul mare, tra il cordame dei velieri,
sognavo le tue nevi, i tigli neri,
le dritte vie corrusche di rotaie,
l’arguta grazia delle tue crestaie,
o città favorevole ai piaceri!

 

E quante volte già, nelle mie notti
d’esilio, resupino a cielo aperto,
sognavo sere torinesi, certo
ambiente caro a me, certi salotti
beoti assai, pettegoli, bigotti
come ai tempi del buon Re Carlo Alberto…

 

“…se ‘l Cônt ai ciapa ai rangia për le rime…”
“Ch’a staga ciutô…” – “‘L caso a l’è stupendô!…”
“E la Duse ci piace?” – “Oh! mi m’antendô
pà vaire… I negô pà, sarà sublime,
ma mi a teatrô i vad për divertime…”
“Ch’a staga ciutô!… A jntra ‘l Reverendô!…”

 

S’avanza un barnabita, lentamente…
stringe la mano alla Contessa amica
siede con gesto di chi benedica…
Ed il poeta, tacito ed assente,
si gode quell’accolita di gente
ch’à la tristezza d’una stampa antica…

 

Non soffre. Ama quel mondo senza raggio
di bellezza, ove cosa di trastullo
è l’Arte. Ama quei modi e quel linguaggio
e quell’ambiente sconsolato e brullo.
Non soffre. Pensa Giacomo fanciullo
e la “siepe” e il “natìo borgo selvaggio”.

 

II.
Come una stampa antica bavarese
vedo al tramonto il cielo subalpino…
Da Palazzo Madama al Valentino

ardono l’Alpi tra le nubi accese…
È questa l’ora antica torinese,
è questa l’ora vera di Torino…

 

L’ora ch’io dissi del Risorgimento,
l’ora in cui penso a Massimo d’Azeglio
adolescente, a I miei ricordi, e sento
d’essere nato troppo tardi… Meglio
vivere al tempo sacro del risveglio,
che al tempo nostro mite e sonnolento!

 

III.
Un po’ vecchiotta, provinciale, fresca
tuttavia d’un tal garbo parigino
,
in te ritrovo me stesso bambino,
ritrovo la mia grazia fanciullesca
e mi sei cara come la fantesca
che m’ha veduto nascere, o Torino!

 

Tu m’hai veduto nascere, indulgesti
ai sogni del fanciullo trasognato:
tutto me stesso, tutto il mio passato,
i miei ricordi più teneri e mesti
dormono in te, sepolti come vesti
sepolte in un armadio canforato.

 

L’infanzia remotissima… la scuola…
la pubertà… la giovinezza accesa…
i pochi amori pallidi… l’attesa
delusa… il tedio che non ha parola…
la Morte e la mia Musa con sé sola,
sdegnosa, taciturna ed incompresa.

 

IV.
Ch’io perseguendo mie chimere vane
pur t’abbandoni e cerchi altro soggiorno,
ch’io pellegrini verso il Mezzogiorno
a belle terre tiepide e lontane,
la metà di me stesso in te rimane
e mi ritrovo ad ogni mio ritorno.

 

A te ritorno quando si rabbuia
il cuor deluso
da mondani fasti.
Tu mi consoli, tu che mi foggiasti
quest’anima borghese e chiara e buia
dove ride e singhiozza il tuo Gianduia
che teme gli orizzonti troppo vasti…

 

Evviva i bôgianen… Sì, dici bene,
o mio savio Gianduia ridarello!
Buona è la vita senza foga, bello
godere di cose piccole e serene…
A l’è questiôn d’ nen piessla… Dici bene
o mio savio Gianduia ridarello!…

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