Il Farò di San Giovanni: una tradizione tra storia, religione e magia
La Festa di San Giovanni è sicuramente uno degli eventi più importanti della città di Torino. L’elezione di di San Giovanni Battista come patrono del capoluogo piemontese ha origini molto antiche. In alcuni documenti storici è già menzionata nel 602 quando Aginulfo, duca di Torino, fece erigere una chiesa in suo onore.
Per quanto riguarda i due giorni di festeggiamenti in occasione della festa del patrono, questi risalgono al Medioevo. Tutta la popolazione, gli abitanti della città e delle zone adiacenti, era coinvolta nelle varie celebrazioni che avvenivano durante i festeggiamenti: danze, canti, banchetti e gli appuntamenti religiosi.
In realtà la celebrazione, la processione e l’ostensione della reliquia del Santo (proveniente dalla chiesa di St. Jean de Maurienne) erano i soli eventi di tradizione cristiana inseriti nei due giorni di festeggiamenti. I momenti centrali di questa festa medievale erano invece la balloria (le danze e i canti in preparazione dei festeggiamenti serali), la corsa dei buoi (pittoresca corsa che si svolgeva nelle vie della città e più precisamente nelle strade del Borgo Dora) ed il Farò (ovvero il falò serale).
Da fonti storiche (i verbali redatti dai decurioni dopo l’evento) si sa che la tradizione del Farò (parola in piemontese che significa “falò”) è antichissima, forse quanto la stessa festa del Santo. La catasta di legna da ardere veniva già anticamente preparata in Piazza Castello, più precisamente all’altezza di Via Dora Grossa (oggi Via Garibaldi). Soltanto più tardi sarà spostata all’altezza di Via Palazzo di Città per consentire al cavaliere del vicario e ai suoi uomini di vegliare tutta la notte mantenendo l’ordine.
Per il Farò, alla vigilia del 24 giugno, veniva preparata nella piazza centrale una enorme catasta piramidale di legna a cui il figlio più giovane del principe regnante doveva dare fuoco creando un grande falò intorno al quale gli abitanti si lasciavano andare in vivaci e sfrenate danze. La notte del 23 giugno veniva celebrata così: cantando, danzando in cerchio intorno al fuoco e recitando preghiere in onore di San Giovanni. Le danze erano guidate da re Tamburlando, una figura che oggi può essere paragonata a quella di Gianduja che appunto guida i festeggiamenti della vigilia di San Giovanni.
Come spesso accade nelle feste cristiane della tradizione, la religione si mischia alle credenze più antiche e alle superstizioni. La Festa di San Giovanni coincide d’altronde con il solstizio d’estate, che nel mondo pagano simboleggiava un rito di passaggio che portava la Terra dal predominio lunare a quello solare durante la notte più corta dell’anno.
Sempre durante questa lunga notte di festeggiamenti gli abitanti della città si lasciavano andare a riti e credenze magiche come bruciare le vecchie erbe nel falò e raccoglierne di nuove per leggere il futuro, comprare l’aglio per avere un anno fortunato, raccogliere un ramo di felce a mezzanotte e conservarlo in casa per aumentare i soldi. Si dice anche che durante la notte venissero raccolte erbe e foglie da battezzare nelle acque per poi, durante l’anno, preparare filtri e pozioni magiche utili per fare incantesimi. Sulla base di queste tradizioni si diffuse la credenza che la notte di San Giovanni fosse dedicata alla celebrazione dei rituali delle streghe, ovvero le “masche” piemontesi.
Oggi questo lato scaramantico e un po’ magico rimane con la tradizione della caduta del toro posto in cima al falò. Al centro del Farò viene infatti issata la sagoma di un Toro, che a seconda della direzione in cui cade porterà fortuna o sfortuna alla città durante l’anno che segue. La leggenda narra che, se la sagoma del Toro cade verso Porta Nuova, l’anno che si apre sarà propizio per la città mentre se cade nella direzione opposta sarà un anno poco fortunato per Torino.
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